Arte e cultura

Avezzano – Dal Paleolitico

All’età del Bronzo

« Aedificiorum magnificentia, & civilis vitae cultura primarium, locum Oppidum istud facile obtinuit, domorum , viarumque ornatu spendidum, dignum quippè, ut Principis fedes ibidem eligerut, cum Civitatis formam praefeferat, muro undique vallatum, quem horti oleum consepiunt, ex tribus portis aperitur ad commeandum iter, ampli stratarum tractus, comis arborum utraque ex parte protecti deambulationibus, & Viatoribus gatum in meridie umbraculum praebent, & postema portam quae as occasum respicit amplum ridet, omni tempore virens pratum animalibus ad pascua, & hominibus ad palestram, & ad excutiendum ex aristis frumentum praeparatum. Fixerat olim extra moenia ad prospectum prati praeclarissimae Ursunorum famiglie Gentilis Virgilius ad praesidium arcem vallo, fossoque; quatuor in singulis angulis turribus, & quae principatum habet ad quintum locum in medio extollitur artificiosè munita, ad quam, ponte iniecto. » (Phoebonius 1668, III, 146-147): trad. ital. = « Per la magnificenza degli edifici, per la pratica della vita civile, questa città facilmente prese il primo posto (fra gli altri centri abitati), splendida di case e di strade, degna di essere scelta come sede del Principe, allorché ebbe assunta forma di vera città cinta da ogni parte di mura, assiepata torno torno da orti, aperta alla campagna da tre porte, su ampi tratti di strade protette ai lati da vaste chiome d’alberi, ricche di frescura gradita a chi le attraversa nel meriggio; bellissimo il territorio che s’apre al di là della porta occidentale, verde in ogni tempo di prati adatti ai pascoli degli animali, agli spassi degli uomini, a far da aia per le puliture del frumento (al tempo del raccolto). Gentile Virgilio, della celebre famiglia degli Orsini, di fronte a questi prati, fuori le mura, fondò a presidio della città un castello con vallo e fossato, e con quattro torri ai lati ed una centrale, più alta delle altre, alla quale s’accedeva con ponte levatoio, rafforzata ad arte.». Così il Febonio descriveva entusiasticamente a metà del Seicento la sua città natale, ormai avviata a diventare il principale centro abitato della Marsica moderna, ma le sue fortune erano la conseguenza della particolare posizione geografica e della evoluzione dei suoi numerosi insediamenti umani che si erano succeduti dal Paleolitico all’età medievale.

Le più antiche testimonianze della presenza umana nel territorio avezzanese, risalgono al Paleolitico inferiore-medio con il ritrovamento di strumenti di selce di tipo protolevalloisiano tra la ghiaia dei viali di Villa Torlonia e nella località “Le Mole” di Avezzano. Ritrovamenti, datati fra i 130.000-75.000 anni fa, che testimoniano il passaggio nell’area di gruppi monadi di cacciatori pre-neandertaliani e neandertaliani che, nella stagione estiva, provenienti dalle coste laziali ed adriatiche, raggiungevano l’area fucense per cacciare animali di grossa taglia (Irti 1980, 50-51). La sicura presenza di questi primi uomini nel territorio fucense è confermata dal famoso archeologo Antonio Maria Radmilli, lo scopritore della preistoria marsicana, che dice: « I pochi manufatti del Paleolitico inferiore rinvenuti ai margini dell’antico lago del Fucino sono tutti in giaciture secondarie perché, come è noto, sino a circa 18 mila anni or sono le acque del lago erano notevolmente alte ed, infatti, tutte le grotte contengono alla base un deposito di ciottoli fluviali. Siamo comunque certi che il territorio del Fucino fu frequentato dai cacciatori dell’epoca perché sporatici reperti sono stati trovati in superficie a Mole di Avezzano, a Lecce dei Marsi, a Collelongo, a Luco.» (Radmilli 1999, 189-199).

Al periodo Paleolitico superiore risalgono invece le testimonianze presenti nell’area del Nucleo Industriale di Avezzano con le grotte “Afra” e “Ciccio Felice”. La prima, scoperta nel 1956, è situata alla base del Monte Salviano, verso nord a circa 100 metri dai Cunicoli di Claudio, fu utilizzata per una sola volta intorno ai 13.500 anni fa da cacciatori paleolitici che si cibarono con la carne di un cervo catturato nelle vicinanze. Dai numerosi ritrovamenti ossei si è accertato che la modesta cavità (lunga 10 metri, profonda cinque ed alta 1,80) era stata tana di marmotte (Radmilli 1997, 204).

Più consistenti sono i ritrovamenti nella vicina “Grotta di Ciccio Felice”, il più importante giacimento archeologico preistorico e protostorico del territorio avezzanese e marsicano. Conosciuta in passato come luogo di ritrovamenti di “tesori” e di riparo per le greggi dei pastori di Luco, le prime notizie della grande grotta sono contenute nell’opera del Gattinara che ci parla del recupero in età rinascimentale, da parte di un frate laico di Tagliacozzo, di un tesoretto di monete d’oro (Gattinara 1894, 111). Nel tardo medioevo fu utilizzata, in parte, da una chiesetta dedicata a S. Felice che diete il nome alla grotta: « grotta di Claudio a S. Felice » (Pagani 1968, 62-63) ed al vicino villaggio che nel ‘300 contribuì alla nascita del nuovo castrum avezzanese (Phoebonius 1668, III, 144). La sua valenza archeologica venne già riconosciuta dagli Avezzanesi Giuseppe Pennazza e Loreto Orlandi durante la prima metà del ‘900 con i ritrovamenti di ex-voto fittili, un muro in opera poligonale di terrazzamento e le mensae ricavate sul piano roccioso interno (Pennazza 1940; Orlandi 1967, 59-60): durante la II Guerra Mondiale è stata anche luogo di rifugio delle genti avezzanesi durante i pesanti bombardamenti alleati del 1943. Solo a metà del ‘900, i ritrovamenti trovarono l’attenzione di Pietro Barocelli che né diete le prime notizie scientifiche a Roma nel 1949 (Barocelli 1951).

A queste prime segnalazioni seguirono gli scavi del Radmilli nell’estate del 1956 con l’apertura di diverse trincee che hanno permesso di conoscere la lunga frequentazione della grotta dal Paleolitico superiore fino all’età medievale con un utilizzo, come luogo di culto italico, dal VII al I secolo a.C. (Radmilli 1956). Per il periodo paleolitico il Radmilli dice: « La presenza fra la fauna di resti di cavallo, di bove, di stambecco, di marmotta permette di poter dire che questa grotta venne visitata dai cacciatori del Paleolitico superiore in un periodo precedente ai 13500 anni da oggi. Non vi è dubbio che si trattava di visitazioni sporadiche e di breve durata, forse di sosta, durante la caccia nel periodo di buona stagione, data la presenza della marmotta, che, altrimenti, non si spiegherebbe la forte percentuale di strumenti rispetto alle schegge di lavorazione, la trascuratezza nella lavorazione degli strumenti, la consistente quantità di schegge e di lame con sbrecciature d’uso, la riutilizzazione delle schegge di ravvivamento.» (Radmilli 1997, 211).

A questo periodo iniziale paleolitico con un territorio popolato dai soli cacciatori alla ricerca di grosse prede, nel Paleolitico superiore-Mesolitico, intorno ai 18.000 anni fa gruppi di uomini del tipo Cro-Magnon, dei cacciatori-raccoglitori, raggiungono il Fucino installandosi stabilmente sui terrazzi ghiaiosi che fiancheggiano i torrenti che si versano nel Fucino e nelle numerose grotte e ripari rocciosi aperti verso l’alveo lacustre con un paesaggio caratterizzato da montagne a sommità boscose e versanti bassi spogli di vegetazione. Di queste genti abbiamo ora i resti ossei riferibili all’“Uomo di Trasacco” della Grotta Continenza di circa 14.000 anni fa e all’“Uomo di Ortucchio” della Grotta dei Porci di circa 12.000 anni fa (Radmilli 1993, 58-64).

Con il periodo Neolitico, intorno ai 6200 anni fa, ha inizio nella Marsica il popolamento umano per villaggi, come confermato da quello di “Cellitto” di Paterno nel territorio di Celano, con insediamenti di pianura composti da gruppi di capanne abitate da genti che utilizzavano la ceramica, praticavano l’agricoltura, l’allevamento, la caccia e pesca ed utilizzavano le grotte come luogo di sepoltura o per scopi cultuali. Agli agricoltori neolitici sono da attribuire le prime esperienze artistiche indirizzate verso la figura umana e forme più complesse di pratiche religiose legate a culti della fertilità e degli Antenati, come potrebbe dimostrare la lunga frequentazione cultuale della Grotta di Ciccio Felice.

Con le successive età dei metalli (Eneolitico-Età del Rame ed Età del Bronzo), dai 4.400 ai 3000 anni fa, gli insediamenti di pianura diventano più numerosi e complessi sia intorno al lago che nelle pianure e valli vicine, con genti legate ad una economia polivalente (agricoltura, allevamento, caccia, pesca, metallurgia). Si avvertono i primi conflitti locali data l’apparizione nelle tombe maschili delle prime armi di rame e poi di bronzo (asce, pugnali e spade). I villaggi sono ora retti da “capi” espressi da ceti emergenti di agricoltori-guerrieri, capi che combattono a cavallo e che sono seppelliti, come le loro mogli, in sarcofagi lignei in grandi tumuli sepolcrali ben delimitati da circoli di pietra (“Paludi” di Celano e “Colle Sabulo” d’Avezzano). Gli ornamenti della persona sono rappresentati da complesse fibule (spille), rasoi, spilloni, bracciali, armille e collane composte da conchiglie, perle in pasta vitrea o ambra (resina fossile). Il vasellame ceramico si fa più vario con fogge diverse decorate da impressioni a squame, da linee dipinte, incisioni geometriche ed anse antropomorfe. Sulla dorsale appenninica si diffonde, nell’età del Bronzo, una “Cultura Appenninica” che comprenderà gran parte dell’Italia centro-meridionale.

All’età dei metalli sono da attribuire il complesso di insediamenti perilacustri (o posti nelle basse alture vicine al lago) avezzanesi scoperti da Umberto Irti in località “Le Mole”, sotto Caruscino, un’area ricca di sorgive che presenta una frequentazione umana ininterrotta dall’età del Rame fino ai nostri giorni; nel medioevo l’area presentava le famose chiese benedettine di S. Salvatore e SS. Trinità di Avezzano. Lo studio dell’Irti ha evidenziato la sequenza verticale e cronologica di tre villaggi utilizzati dall’Eneolitico alla fine dell’età del bronzo – protovillanoviano – (4.400-2900 anni fa): il più antico, quello Eneolitico (“Mole 1”), è posto a quota 674, altri due all’età del Bronzo (appenninico e protovillanoviano: “Mole 2 e 3”) sulle quote 666-675. Certamente collegato agli ultimi due è quello presente sulla piana fucense a quota 661 di Strada 6, attribuibile all’età del Bronzo. Sempre nelle vicinanze, a “S. Giuseppe di Caruscino”, troviamo un altro insediamento a quota 675 con attestazioni dal subappenninico al protovillanoviano (Irti 1991, 79-80).

A questi insediamenti, propriamente avezzanesi, si associano altri quattro insediamenti posti sotto le frazioni di S. Pelino e Paterno: il primo, del protovillanoviano, è posto a quota 674 nella località “S. Martino” di S. Pelino; il secondo, dell’età Neolitica, è situato a quota 674 nella località “Masciarelli” di S. Pelino; il terzo, del periodo protovillanoviano, è posto a quota 667 nella località “La Chiusa” di Paterno; il quarto, del subappenninico, è situato nella piana fucense alla quota 659 di Strada 10 (Irti 1991, 80).

Dall’esame di questi villaggi si può comprendere il variare dei livelli lacustri nell’età dei metalli e il possibile collegamento fra il villaggio di Strada 6 (una dipendenza piscatoria?) con i sovrastanti insediamenti delle Mole dell’età del Bronzo: lo stesso può osservarsi per gli insediamenti di Paterno. Nel suo insieme i villaggi si dispongono sulla riva, nelle vicinanze di sorgive, seguendo il variare dei livelli lacustri che nell’Eneolitico, o età del Rame, erano più alti, mentre nell’età del Bronzo scesero di molto, oltre i limiti di secca del lago medievale e moderno.

Oltre ai villaggi vicini al lago, altri si disponevano ai margini dei Piani Palentini come quello recentemente scoperto da Irti ad Antrosano, sui prati vicini alla chiesa parrocchiale che ha restituito frammenti di ceramica a squame eneolitica (4.500-4.500 anni fa) (Irti 2000, cs.). Per le tombe legate agli insediamenti della prima età dei metalli, abbiamo ora il ritrovamento recente, da parte dello stesso Irti di una sepoltura neolitica su grotticella, nelle vicinanze della Discenderia Maggiore dell’Emissario di Claudio, prima della Grotta di Ciccio Felice: si tratta di un individuo di circa 20-25 anni, i cui resti scheletrici sono ancora in corso di studio (Irti 2000, cs.). A sepolture neolitiche e dell’età del bronzo, sono da attribuire i materiali trafugati negli anni ’70 del Novecento nel Museo Lapidario di Avezzano, provenienti probabilmente dalla grande necropoli di “Colle Sabulo” o “Campo dei Gentili” nell’area dell’attuale Cimitero avezzanese. Nell’ultimo Inventario del Museo Comunale di Avezzano, redatto dal Rapisarda nel 1952, compaiono ben quattro asce neolitiche in pietra verde, due punte di lance ed un’ascia in bronzo dell’età del bronzo finale (Inv.Mus.Avezzano, nn. 19-22, 26-29).

Riguardo all’economia di questi villaggi avezzanesi, le attuali ricerche prospettano attività legate sia all’agricoltura sia all’allevamento, oltre naturalmente che alla caccia, pesca sul lago e metallurgia. In passato la “cultura appenninica” dell’età del bronzo, cosi definita da Ugo Rellini nel 1932 per la sua diffusione sulla dorsale appenninica (Rellini 1932), cui i nostri insediamenti appartenevano, era stata descritta da Salvatore Puglisi, come legata esclusivamente al mondo pastorale (Puglisi 1959). Scavi e ricerche recenti e le relativi analisi fatta dal Radmilli, hanno invece permesso di riconoscere a questa importante cultura preistorica italiana un legame ad un’economia mista agricolo-pastorale, come per le precedenti genti eneolitiche dell’età del rame. È certo in ogni modo che nel periodo compreso fra il 1400 ed il 1300 a.C., lo sviluppo della pastorizia fu notevole, rispetto all’epoca precedente, visto il clima “oceanico” (caldo-umido caratterizzato da abbondanti piogge) che sicuramente favoriva lo sviluppo della vegetazione da pascolo. I secoli successivi al 1300 a.C., videro una nuova variazione climatica con il tipo “subcontinentale” (temperato con minori piogge), clima che certamente portò ad un sostanziale equilibrio fra agricoltura e pastorizia con il ritorno ad un’economia mista che rimase inalterata fino al II secolo a.C. (Radmilli 1993, 111-112).

Dall’analisi degli insediamenti e dei materiali rinvenuti, il territorio preso in esame appare ben collegato con le dinamiche insediamentali attestate nel bacino fucense nell’età dei metalli con insediamenti agricolo-pastorali situati sui limiti lacustri o sui terrazzi ai margini, nelle vicinanze di sorgive o piccoli corsi d’acqua: l’insediamento del bronzo finale di Strada 6 « forse anche per la maggiore quota dell’insediamento rispetto agli altri della piana, potrebbe invece sussistere un livello della I età del Ferro » (Irti 1987, 291).

a cura del Prof. Giuseppe GROSSI
da www.comune.avezzano.aq.it

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